Lettori fissi

mercoledì 29 aprile 2009

ieri….

ieri

Ieri…
era una di quelle giornate in cui chi non c’è più ti manca più del solito…forse perché più del solito lo senti vicino …una di quelle giornate strane in cui un rumore ti fa sussultare…in cui una musica ti fa ricordare….in cui fisicamente sei in cucina piuttosto che in soggiorno o nello studio…ma con la testa sei altrove..una giornata in cui tutto è possibile..
Ieri..
il cielo era gonfio di pioggia …pesante e grigio come il cielo di un autunno avanzato...pioveva ininterrottamente dal mattino…eppure la pioggia battente sui vetri era una specie di richiamo..suonava quasi come un invito come se le gocce chiamassero il mio nome..così mentre stavo preparando la cena mi sono avvicinata alla finestra….e i lampioni accesi in strada…le luci accese in casa…hanno trasformato i vetri bagnati in una sorta di specchio…
ed è successa una cosa strana…un profumo all’improvviso mi ha fatto battere il cuore all’impazzata..e dietro me ..nel vetro… il viso di chi ho appena perduto …simone era lì…
per un attimo sono rimasta immobile….avrei voluto girarmi per abbracciarlo..e nel contempo avevo paura di farlo…..ma lui era lì..e mi sorrideva come faceva sempre passandomi accanto …lui non parlava…ma la sua anima sì…per lui parlavano i suoi occhi..i suoi sorrisi…
è stato un attimo…forse..o un’eternità…non so….mi sono girata piano..per non rompere l’incanto di quel momento…...ma non c’era nessuno…c’ero io ….c’era il suo profumo…c’era il rumore di un libro sfogliato …c’era la certezza di non essere sola ..di avere un angelo accanto

lunedì 27 aprile 2009

ricordi……..

Serenity   Paul Guy Gantner

quando la sera tutto si ferma e il silenzio può entrare nel mio cuore, posso ascoltare note inespresse di una vita che palpita nelle mie vene...nel silenzio.. le mille voci di un tempo lontano.. lentamente cominciano a rincorrersi...e mi lascio cullare dal mare dei ricordi.. e mi lascio accarezzare dalla brezza delle sensazioni...
una foto ipnotizza il mio sguardo....una casa sul lago...un portico ...
torno col pensiero in quella casa...in cui tutto ci sembrava possibile...
i sogni si confondevano con la realtà... la sera ci addormentavamo sapendo che il domani ci avrebbe portato qualcosa di nuovo..e tutti e due volevamo "qualcuno" che avesse i nostri occhi ...i suoi..o i miei...
in quella casa non sono più tornata..ora è solo un ricordo che mi piace liberare per rivivere vecchie emozioni che mi fanno sorridere... felice...per quello che ho avuto...ma mi rattristano... anche..per ciò che non ho più..
e ora sono là..sono davvero sotto quel portico..una candela accesa...una tisana.. seduta su una poltrona di vimini..mentre leggo e rileggo il passo di un libro che conosco a memoria..ormai..ma che è mio fedele compagno...e i ricordi si spostano in luoghi che oggi riscopro nuovi....in quella piazza così bella...mentre sull'acciotolato risuona il rumore dei miei passi che si allontanano...poi più nulla...
solo il silenzio che amo tanto

domenica 26 aprile 2009

la valigia……………salvatore ferrara

valigia

Porto ancora con me, nei viaggi per le strade del mondo,
la mia antica valigia e gli occhiali da sole.
Vorrei lasciarli lì, in una piccola stazione di un posto lontanissimo,
abbandonata tra i binari di un treno di un altro tempo.
Vi trovereste, aprendola, lacrime e poesie, parole nel cuore... parole nella testa.
Ancora, cogliereste canzoni passate, sorrisi e pianti, solitudini e rabbia.
E poi questa invadente nostalgia che si mescola ai ricordi
e che, insieme al dolore di perdite ancora sanguinanti,
mi impedisce di spiccare il volo oltre il mare infinito.
Certe sere la mia valigia è troppo pesante,
certe notti è troppo piena, e mi toglie la luce della luna,
il luccichio delle stelle, il canto delle cicale nelle sere d'estate.
Per portarla devo lasciarla, per lasciarla devo aprirla, per aprirla devo piangere ancora.

Ma non sono stanco di piangere:
non lo sarò mai! Vorrei accendere questa notte stellata di primavere
e danzare fino al mattino, a piedi nudi nella sabbia,
vorrei abbracciarti e sussurrarti parole d'amore cantando la gioia del mio cuore,
vorrei alleggerire il mio cuore di ogni paura, salire sulla collina e galoppare fino al tramonto,
fino all'insegna di quell'ultimo bar con la forza e il tremito dei miei pensieri e del mio cuore.
Vorrei...Vorrei poggiare il capo sul tuo braccio e raccontarti tutte le favole della mia vita.
Dovrei...Si... forse, dovrei appoggiare la mia valigia lì, in quell'assolato mare di pensieri...
Un giorno, i sogni e i dolori che la riempiono, la felicità dei sorrisi e la rabbia del pianto
saranno solo brevi racconti di una vita piena e sincera:
la vita che porto dentro al mio cuore.

sabato 25 aprile 2009

un quadro..un giardino..una rosa

castellettocastelletto-la mia mamma

ci sono cose che abbiamo sempre davanti agli occhi ...ma siamo così abituati a vederle che non ci facciamo più nemmeno caso ..fino a quando ...in un momento particolare....lo sguardo si posa distratto su una di queste...ma poi ci ritorna ...e non vediamo più la cosa che abbiamo di fronte.... vediamo al di là...e i pensieri cominciano a galoppare....
così è stato con questo..che è un quadro dipinto da mia madre....è appeso alla parete dietro al pc...quindi proprio in faccia a me ....lo avrò guardato senza vederlo una infinità di volte...fino a che.... Ricordo che avevamo preso in affitto una casa per l'estate..i week-end...il tempo libero...non lontano da milano ..vicino ad arona ..sul lago maggiore
era una casa rustica... non grande...ma con il giardino ... fondamentale per chi..come me....abita in città...
era primavera....ma il giardino era triste...le aiuole incolte, qualche vaso rotto..e tanta erba...troppa per la verità...che necessitava dell'intervento miracoloso di una falce... sono un tipo creativo ....per cui ho cominciato subito a immaginare come trasformarlo...poca terra... qualche fiore ed una siepe ad abbracciare quello spazio. Sul lato rivolto verso il lago..una finestra si apriva su una vista sconfinata per liberare pensieri; su quello opposto, quello che si vede nel quadro...un discreto riparo, in cui trovare un rifugio sicuro, dove nascondere frammenti del mio tempo.
Quando venne l'estate, ogni sogno..ogni progetto erano là ad aspettarmi al loro posto..in una attesa impaziente. Fu allora che quel giardino emise, con lo sbocciare dei primi fiori, il suo primo vagito. E mai suono fu più delicato e melodioso di quel mormorare di vita. Fu allora che aprii gli occhi per ammirare ciò che fino a quel momento era stato soltanto un desiderio, nascosto tra le pieghe di una speranza interiore.. di un tempo ancora tutto da inventare...
seduta in un angolo di quel nido ..attesi di diventare parte indissolubile di quel tutto, così che desiderio e immagine divenissero una cosa sola, un solo ed unico respiro dell'anima. Le notti e i giorni si inseguirono spensierati, senza mai raggiungersi davvero..e spesso, si concessero delle brevi ed intense pause sul far della sera..per preparare nuove pagine di cielo..fino a che una notte, accadde qualcosa di straordinario...
Al centro di quel giardino, un bocciolo di rosa..ancora avvolto dalle foglie, si stava aprendo piano piano ..c'era la luna e mi sedetti affascinata ..restai ad ascoltare il battito leggero del suo esistere, così simile al mio..a guardare da vicino le minute perle di brina, addensarsi sul volto di quel fiore bambino, riflettersi sui miei pensieri ...lasciando che mi scendessero profondamente dentro. Provai paura e gioia assieme..e, rapita da quel silenzio, fatto di richiami per l'anima, vidi quella rosa aprirsi a poco a poco..come in un sorriso..e in un istante capii che quel sorriso era per me..
Del colore di rosso cupo erano i suoi petali, simili ad un cuore..di un velluto carezzevole..e così il suo essere..al mattino, tutto il giardino si chiuse dentro la sua corolla mentre io attraverso la finestra rivolta verso il lago liberai tutti i miei pensieri..E quel giardino divenne sorgente della mia vita.
Da allora, quel luogo, divenne rifugio di un'anima....
nell'aria... il suono di un fresco profumo

giovedì 23 aprile 2009

bel giovane mi aiuti a bere?…………….sabato bufano

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Passeggiavo lentamente. Era mezzogiorno, e avevo approfittato di uno squarcio di sole tra le nuvole cariche di pioggia di quella giornata. Che già aveva riservato la sua razione di due temporali estivi, brevi ma violenti. Stavo facendo due passi alla scoperta del paesino calabrese che da due giorni ci ospitava per la nostra breve vacanza. Un'unica strada attraversa tutto il paese: due file di case ai due lati, strette tra il mare da una parte e la ferrovia e la montagna dall'altra. I miei occhi vagavano ora a destra ora a sinistra, alla ricerca di volti o angoli interessanti. Solo case, teli da mare stesi alle finestre, a indicare che si trattava di case "estive", certamente disabitate d'inverno. Ecco la macelleria, il bar, il mini market, la piazzetta. Una bella fontana al centro, che lanciava verso l'alto i suoi spruzzi, disposti in cerchio, a formare giochi d'acqua. Lo spazio intorno alla fontana era di un acciottolato grigio e rosso cupo, a pietre dai colori alternati. Intorno siepi e fiori, che una donna stava innaffiando. Di fronte alla fontana la chiesa del paese, di mattoni rossi e di forma circolare. Le sue linee moderne ne lasciavano indovinare la recente costruzione. Davanti al portone a due ante, entrambe aperte, ad indicarla come luogo di accoglienza, una scalinata di marmo e pietre digradava verso la strada. Come due semicerchi, dal portone scendevano due rampe ad uso dei disabili. Voltai gli occhi verso l'altro lato della strada, attirato dalle grida di un uomo. "Pesce, pesce fresco!". Dietro ad un furgone bianco, col portellone posteriore alzato, un uomo bruciato dal sole e dalla salsedine urlava il suo richiamo. Accanto a lui una bancarella di fruttivendolo ambulante, dietro alla quale tre persone, forse marito, moglie e figlia, servivano turisti curiosi e desiderosi di assaggiare primizie fresche. Nella piazzetta e davanti alla chiesa il lento passeggiare di altri turisti col naso in su ad ammirare il paesaggio, o intorno a curiosare tra le persone: chi abbracciato alla ragazza, forse conosciuta in vacanza, chi in compagnia del suo cane, chi a zonzo con la famiglia. Più in là due vecchietti teneramente mano nella mano, che sicuramente avevano molto da insegnare a noi giovani sull'amore: sembravano due fidanzatini. Niente a che vedere con la frenesia della città: estrema calma, estremo relax, estrema ricerca di tranquillità, nel tentativo di ricaricare le pile in vista dell'ormai prossimo ritorno nella bolgia di tutti i giorni. Ero assorto, passeggiando lentamente, ad osservare la varietà di persone e di situazioni intorno a me, quando sentii una voce: "Bel giovane, mi aiuti a bere?". Non ci feci caso, in un primo momento. La voce era flebile, si sentì a malapena. Non conoscevo nessuno, non potevo essere io il destinatario di quella richiesta. E poi non mi sentivo certo un bel giovane! Dopo qualche attimo la voce ripeté: "Bel giovane, mi aiuti a bere?". Questa volta mi girai verso la direzione da cui sembrava provenire quello che era poco più di un lamento. Da uno dei semicerchi per disabili che convergevano verso il portone della chiesa. Su quelle rampe c'erano tante persone, ragazzi, adulti bambini. Erano lì, all'ombra, per ripararsi dal raggio di sole appena liberatosi dall'abbraccio delle nuvole, violento e caldo. Chi poteva aver parlato? Scrutai tra quelle persone, che erano a non più di tre metri da me. Per la terza volta la voce misteriosa ripeté: "Bel giovane, mi aiuti a bere?". Stavolta ne individuai l'origine: in mezzo a quella piccola folla scorsi una sedia a rotelle. Su di essa una vecchietta, minuscola, quasi rattrappita su quella carrozzella. La faccia e le mani erano solcate da rughe profonde e fittissime. Avrà avuto cent'anni, forse! Parlava proprio a me, infatti i miei occhi incrociarono i suoi, quasi nascosti da un foulard che aveva in testa, che mi fissavano, imploranti. Aveva indosso una veste logora, rattoppata qua e là. I piedi erano nudi. Intorno tanta gente. Il mio primo istinto fu quello di allontanarmi: non la conoscevo, non conoscevo nessuno lì. E poi c'erano tante altre persone! Perché proprio io? Ma poi incrociai nuovamente i suoi occhi: dolcissimi. La bocca semiaperta, forse aveva davvero tanta sete, con quel caldo! Ma furono i suoi occhi, piantati nei miei, a spingermi verso di lei. Mi avvicinai lentamente: mi guardai intorno, a scrutare i movimenti degli altri, lì a due passi. E se qualcuno mi avesse detto di occuparmi dei fatti miei? E se qualcuno avesse cominciato a deridermi? E se …? Nessuno si mosse, tutti indaffarati nel loro far niente. Mi avvicinai ancora: ora ero ad un passo da lei. Lei ripeté la richiesta: "Bel giovane, mi aiuti a bere?". Mi girai intorno, alla ricerca di una fontana, di un bar, di un chiosco. Non avevo fatto caso che la vecchietta mi aveva chiesto di aiutarla a bere, non da bere. Indicò con una mano tremante una specie di zainetto, ancora più logoro del suo vestito, poggiato per terra, accanto ad una ruota della sua carrozzella. La guardai con espressione interrogativa. "Bel giovane, fruga nella mia borsa: c'è una bottiglia". Rapito da quegli occhi imploranti e dalla dolcezza della sua voce infilai una mano nella borsa. C'erano tante cianfrusaglie. Frugando trovai effettivamente una bottiglia. C'era anche un bicchiere di plastica. Era stata previdente, la signora. Stappai la bottiglia, riempii il bicchiere e glielo porsi. Tentò con una mano rattrappita di afferrarlo, ma le sue dita non riuscivano a stringersi attorno al bicchiere. Mi guardò ancora: il suo sguardo chiedeva aiuto. Allora, senza pensare, spinto da un moto di pietà, presi il bicchiere e glielo accostai alle labbra. L'aiutai a bere: era questo che mi aveva chiesto infatti, aiutarla a bere! La bottiglia era calda, quell'acqua non era certo fresca: era in quello zainetto, sotto il sole, già da molto tempo, forse. Ma lei si sentì subito rifocillata, rinfrancata: i suoi occhi si fissarono di nuovo sui miei, riconoscenti, stavolta. "Come ti chiami?", mi chiese. Le dissi il mio nome.
"E lei, signora, come si chiama?"
"Carmela"
"Bel giovane, posso chiederti un altro favore?"
"Dica, signora!"
"Ho freddo ai piedi. Mi aiuti a mettere le pantofole?"
Mi imbarazzò un poco, quella richiesta. Ma ormai non avevo più remore.
"Dove sono?"
"Lì, nello zainetto"
Rovistai ancora nello zainetto. Vi trovai un paio di pantofole sbiadite, consunte, sudice. Gliele porsi.
"Aiutami", mi chiese, piantando ancora una volta i suoi occhi nei miei. L'aiutai a indossare le pantofole.
"Grazie. Sei un bravo giovane, tu!" mi disse, con un filo di malinconia nella voce.
"Come mai è sola qui?"
"Non sono sola. C'è una brava ragazza polacca che si prende cura di me".
"E dov'è adesso?"
"Anche lei ha bisogno di fare le sue cose. Mi porta qui la mattina e mi riporta a casa la sera".
"E lei tutto il giorno rimane qui da sola?"
"Sì. Quando mi serve qualcosa chiamo qualcuno che passa. Anche se non sempre qualcuno si ferma. Non tutti sono bravi giovani come te!"
Quelle sue giornate solitarie sui gradini di una chiesa mi sconvolsero.
"Ha figli, signora?"
"Sì, quattro. Quattro figli!"
"E dove sono?"
"Eh, hanno la loro vita. Tutti sposati, sai? Vivono lontano, a Milano. Lavorano. Ed ho sette nipoti", dichiarò, orgogliosa.
"Vengono a trovarla?"
"Eh, quando possono! La vita a Milano è frenetica, sai?"
"Ma non potrebbero portarla a casa loro, ospitarla, accudirla?"
"Eh!" sospirò.
"Sarei d'impiccio. Per le loro famiglie, per il loro lavoro. Posso cavarmela anche qui. Sono loro che hanno trovato Alena, sai?"
"Chi è Alena?"
"La ragazza polacca che mi accudisce! Sono loro che l'hanno trovata e che la pagano, sai?" esclamò, in un tentativo di difesa ad oltranza dei propri figli che solo una madre è in grado di operare.
Salutai la signora con un bacio. Ormai non mi interessava più della gente intorno, o di quello che avrebbe pensato. Le promisi che sarei tornato il giorno dopo.
Ero sconvolto da quella donna che forse tanti sacrifici aveva fatto nella sua vita, e forse tutti per i suoi figli. E ora era sola, sui gradini di una chiesa, in mezzo ad una folla indifferente. I suoi figli non avevano trovato di meglio che pagare Alena, per la loro mamma.
Passai di lì nei giorni successivi, sempre alla stessa ora, nella speranza di incontrarla di nuovo. Non la vidi più. Mi piace pensare che qualcuno dei suoi figli sia tornato da lei, a farle compagnia nei suoi ultimi giorni, o mesi, o anni. Non voglio pensare ad un finale diverso.